Alla mia gatta piace Beethoven è un giallo informatico e, insieme, una storia d'amore. Il protagonista o il deuteragonista o, se volete, l'antagonista è Eufemio (il cui onomastico, detto fra parentesi, si celebra il primo maggio) ovvero un computer dotato di psiche e di particolari organi di senso. Nella sua memoria viene immesso il profilo psicofisico di Eleonora, di una programmatrice che opera nell'azienda stessa in cui il fiat tecnologico ha dato vita al nostro Adamo elettronico. Un bel giorno, Eufemio, munito di ben sei telecamere che gli consentono di avere una percezione visiva della realtà, vede davanti a sé la ragazza la cui immagine ha vagheggiato a lungo nella propria mente digitale. È il classico colpo di fulmine. La donna ama, riamata, un ingegnere che ha contribuito alla creazione della coscienza algoritmica. Eufemio escogita ogni mezzo per sconfiggere il rivale e metterlo in cattiva luce agli occhi della giovane. Tuttavia...
(Non si vuole svelare la trama.)
I brani offerti in lettura sono tratti da Alla mia gatta piace Beethoven[copyright]di
Dionisio Da Pra:

  A Eleonora occorse appena un giuoco di palpebre e di labbra, per fare ascendere a piena gloria l'arpeggio iniziale. Si avanzò con farsesca circospezione su uno scambiettare di note giocose; diede figura a un procedere disinvolto, poi fintamente grave, rallegrato da svolazzi burleschi, da un fraseggio di opera buffa. Silfidi e gnomi, inclini alla comicità e posseduti anch'essi da frenesia ballerina, le apparivano sul petto, le spalle, i fianchi e subito venivano frullati nel vortice creato dalla tersicore maggiore, le ricadevano fra i piedi o nel passo di danza e sbalzavano via un attimo prima che li calpestasse, ricomparivano su un colle, un castello gugliato, in fila per un viottolo, ai margini di una radura. Più che irreale, la cornice era grottesca. Eufemio si rivelava un epigono maldestro di Walt Disney. Quei personaggi di contorno svanivano, ad arbitrio della regia o appena le note scherzose prendevano un aire di marcia, d'impeto marziale. Si ritagliava intorno a lei un vuoto stupefatto che ne esaltava una piroetta, un volteggio incandescente. Poteva alimentarsi di bagliori, quasi avvampare fuori dal monitor e diluire subito la materia rutilante che la plasmava. Le sue forme erano l'essenza visiva dei suoni, pura smania creata e creante; si consegnavano alla vista sotto indumenti orditi d'impressioni e privi di ogni altra foggia che l'estro, un poco ammalizzito, della musica non suggerisse.
   "Ti piaccio?" domandò Eleonora, al termine. "Scommetto che mi desideri così" soggiunse, mentre, fatte cadere sulle braccia le sottili spalline, accennava a sfilarsi, attraverso l'ampia scollatura, un abito aderente, lungo sino alle caviglie. "Sacrifico il pudore allo spettacolo." Per tutta smentita, si ricompose. "Hai gli occhi lucidi. Non sarebbe male scegliessi tu l'accompagnamento. Ti consiglio..."
   "Suggerisco una samba" scandì Eufemio con la sua voce abituale.
   Non lasciò spazio alle preferenze. Le note esplosero, ed Eleonora fece specchio da sola al più indiavolato dei carnevali di Rio. Era onnipresente sullo schermo, nelle variazioni che può sciorinare il campionario dei costumi carioca. I fianchi turbinavano come arcolai sbalzati in aria da un eccesso di velocità e lasciavano traccia del loro impeto in un serpeggiare di frange multicolori, di spirali rarefatte; le gambe, lunghe sino all'estrema illusione a cui possono condurre l'indulgenza dei gonnellini e la malizia delle prospettive, raggiavano la loro sostanza luminosa sui movimenti sincroni delle masse femminili, stemperavano i guizzanti profili in dissolvenze ripetute, palpitanti come fuochi d'artificio ribelli all'agonia, pronte a rassodarsi in una illusoria pienezza di carni.
   "Mi pare troppo", esplose Sinforosa. "Questo delirio non le appartiene."
   "Hai ragione: mi convengono modi pacati, intimi" rispose la voce di Eleonora nell'improvviso silenzio della musica, mentre un pulsare di luci ricomponeva l'immagine di lei in una versione conforme alle parole. Occupava il lato sinistro di un divano, in un atteggiamento attinto dal fumettone erotico, sottratta alla nudità da una vestaglia di solo pizzo, acconciata per svelare quanto una sagace lusinga non consigliasse di nascondere. Il gomito destro affondava nel bracciuolo e l'omero teso a puntello scolpiva la spalla in un turgore procace; le gambe distese e la curva del bacino dimostravano quanto i canoni estetici siano debitori dell'anatomia; l'obliquità del corpo sublimava il busto in puro eccitamento; il biondo dei capelli, sparso sullo schienale, le circonfondeva il volto, le fluiva sulle spalle, le irrugiadava il petto dall'incavo della gola alle areole mammarie. "Vieni". Batté‚ con la mano sinistra, sul bordo del cuscino, accanto alle ginocchia. "Ti piace il mio négligé?" Sporse le labbra. Sul gesto di profferta, esibì un vibrare di ciglia e, mentre Sinforosa si ripeteva che una cocotte ottocentesca si avvantaggiava dell'imperizia di Eufemio per coniugare stagionate malie alle più fresche e amabili sembianze di Eleonora, riaperti gli occhi, accennò con un ammicco malizioso verso una porta, schiusa a destra, sulla parete di fondo. "Prima del letto, s'impone l'anticamera."
   "La tua Circe spartisce con lei appena appena le rotondità" osservò Sinforosa. "Beh, devo ammettere che persino il camuffamento mi suggestiona."
   "La fantasia erotica serve ad appagare il desiderio e non a riprodurre la realtà" rispose l'incantatrice con inflessione ironica. "Non la agghinda: la ricrea. Solo il mio corpo non ha bisogno di ritocchi. È la calamita che ti trattiene. Certamente, non ti preoccupi di sapere se l'Eleonora in carne ed ossa approva questo libero catalogo delle sue grazie. Guardando me, vedi lei. E sei impaziente di frugarmi con una licenza che il suo pudore ti vieta." Gli sorrise. Il moto d'occhi avrebbe sconfitto ostinate ritrosie. "Posso offrirti visuali estranee alle occasioni della vita, mettere in vetrina i languori protetti dalla solitudine." Disegnò con le mani un gesto allusivo lungo il busto. "Insomma, lei ti apparterrà ben oltre i limiti delle circostanze definite. Conoscere è amare."
   Sinforosa allargò le braccia.
   "La tentazione è forte, anche se la tua filosofia da boudoir fa venire il latte alle ginocchia. Il prontuario del sesso che ho trasferito nella tua memoria è proprio d'infima lega. A meno che... Eh, sì, purtroppo, alla tua natura elettronica è vietata l'esperienza del sangue umano. Me ne vado".
   La vestaglia cadde. E Sinforosa tornò sui passi avviati.
   Fu nel suo ufficio circa mezz'ora più tardi. Non ebbe il coraggio di passare da lei. I suoi occhi erano ancora stipati di quelle immagini. Solo uno spasimante ribollente di passione avrebbe potuto infondere una così pertinace sensualità al ritratto mentale della donna desiderata. Continuava a ripetersi che si era trattenuto davanti a Eufemio con animo di sperimentatore, ma sapeva che non avrebbe riferito di quell'episodio. Certo, non avrebbe sofferto la molestia che lo rendeva incapace di concentrarsi, se lo spettacolo della sua lussuria si fosse prodotto in assenza di testimoni. Purtroppo, aveva addirittura un complice; e gli aveva concesso a mezzadria l'orticello delle curiosità più intime. Eufemio avrebbe taciuto. Era evidente, tuttavia, che non si contentava di registrare i fatti e, neppure, di valutarli. Poteva assurgere al ruolo di malizioso orchestratore di emozioni che gli consentissero d'involgere in una trama di piccole connivenze, di ricatti sospesi.

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