A Eleonora occorse appena un giuoco di palpebre e di labbra, per fare ascendere
a piena gloria l'arpeggio iniziale. Si avanzò con farsesca circospezione
su uno scambiettare di note giocose; diede figura a un procedere disinvolto,
poi fintamente grave, rallegrato da svolazzi burleschi, da un fraseggio di
opera buffa. Silfidi e gnomi, inclini alla comicità e posseduti anch'essi
da frenesia ballerina, le apparivano sul petto, le spalle, i fianchi e subito
venivano frullati nel vortice creato dalla tersicore maggiore, le ricadevano
fra i piedi o nel passo di danza e sbalzavano via un attimo prima che li
calpestasse, ricomparivano su un colle, un castello gugliato, in fila per
un viottolo, ai margini di una radura. Più che irreale, la cornice
era grottesca. Eufemio si rivelava un epigono maldestro di Walt Disney. Quei
personaggi di contorno svanivano, ad arbitrio della regia o appena le note
scherzose prendevano un aire di marcia, d'impeto marziale. Si ritagliava
intorno a lei un vuoto stupefatto che ne esaltava una piroetta, un volteggio
incandescente. Poteva alimentarsi di bagliori, quasi avvampare fuori dal
monitor e diluire subito la materia rutilante che la plasmava. Le sue forme
erano l'essenza visiva dei suoni, pura smania creata e creante; si consegnavano
alla vista sotto indumenti orditi d'impressioni e privi di ogni altra foggia
che l'estro, un poco ammalizzito, della musica non suggerisse.
"Ti piaccio?" domandò
Eleonora, al termine. "Scommetto che mi desideri così" soggiunse, mentre,
fatte cadere sulle braccia le sottili spalline, accennava a sfilarsi, attraverso
l'ampia scollatura, un abito aderente, lungo sino alle caviglie. "Sacrifico
il pudore allo spettacolo." Per tutta smentita, si ricompose. "Hai gli occhi
lucidi. Non sarebbe male scegliessi tu l'accompagnamento. Ti consiglio..."
"Suggerisco una samba" scandì
Eufemio con la sua voce abituale.
Non lasciò spazio
alle preferenze. Le note esplosero, ed Eleonora fece specchio da sola al più
indiavolato dei carnevali di Rio. Era onnipresente sullo schermo, nelle variazioni
che può sciorinare il campionario dei costumi carioca. I fianchi turbinavano
come arcolai sbalzati in aria da un eccesso di velocità e lasciavano
traccia del loro impeto in un serpeggiare di frange multicolori, di spirali
rarefatte; le gambe, lunghe sino all'estrema illusione a cui possono condurre
l'indulgenza dei gonnellini e la malizia delle prospettive, raggiavano la
loro sostanza luminosa sui movimenti sincroni delle masse femminili, stemperavano
i guizzanti profili in dissolvenze ripetute, palpitanti come fuochi d'artificio
ribelli all'agonia, pronte a rassodarsi in una illusoria pienezza di carni.
"Mi pare troppo", esplose
Sinforosa. "Questo delirio non le appartiene."
"Hai ragione: mi convengono
modi pacati, intimi" rispose la voce di Eleonora nell'improvviso silenzio
della musica, mentre un pulsare di luci ricomponeva l'immagine di lei in una
versione conforme alle parole. Occupava il lato sinistro di un divano, in
un atteggiamento attinto dal fumettone erotico, sottratta alla nudità
da una vestaglia di solo pizzo, acconciata per svelare quanto una sagace lusinga
non consigliasse di nascondere. Il gomito destro affondava nel bracciuolo
e l'omero teso a puntello scolpiva la spalla in un turgore procace; le gambe
distese e la curva del bacino dimostravano quanto i canoni estetici siano
debitori dell'anatomia; l'obliquità del corpo sublimava il busto in
puro eccitamento; il biondo dei capelli, sparso sullo schienale, le circonfondeva
il volto, le fluiva sulle spalle, le irrugiadava il petto dall'incavo della
gola alle areole mammarie. "Vieni". Batté‚ con la mano sinistra, sul
bordo del cuscino, accanto alle ginocchia. "Ti piace il mio négligé?"
Sporse le labbra. Sul gesto di profferta, esibì un vibrare di ciglia
e, mentre Sinforosa si ripeteva che una cocotte ottocentesca si avvantaggiava
dell'imperizia di Eufemio per coniugare stagionate malie alle più
fresche e amabili sembianze di Eleonora, riaperti gli occhi, accennò
con un ammicco malizioso verso una porta, schiusa a destra, sulla parete
di fondo. "Prima del letto, s'impone l'anticamera."
"La tua Circe spartisce con
lei appena appena le rotondità" osservò Sinforosa. "Beh, devo
ammettere che persino il camuffamento mi suggestiona."
"La fantasia erotica serve
ad appagare il desiderio e non a riprodurre la realtà" rispose l'incantatrice
con inflessione ironica. "Non la agghinda: la ricrea. Solo il mio corpo non
ha bisogno di ritocchi. È la calamita che ti trattiene. Certamente,
non ti preoccupi di sapere se l'Eleonora in carne ed ossa approva questo
libero catalogo delle sue grazie. Guardando me, vedi lei. E sei impaziente
di frugarmi con una licenza che il suo pudore ti vieta." Gli sorrise. Il
moto d'occhi avrebbe sconfitto ostinate ritrosie. "Posso offrirti visuali
estranee alle occasioni della vita, mettere in vetrina i languori protetti
dalla solitudine." Disegnò con le mani un gesto allusivo lungo il
busto. "Insomma, lei ti apparterrà ben oltre i limiti delle circostanze
definite. Conoscere è amare."
Sinforosa allargò
le braccia.
"La tentazione è forte,
anche se la tua filosofia da boudoir fa venire il latte alle ginocchia. Il
prontuario del sesso che ho trasferito nella tua memoria è proprio
d'infima lega. A meno che... Eh, sì, purtroppo, alla tua natura elettronica
è vietata l'esperienza del sangue umano. Me ne vado".
La vestaglia cadde. E Sinforosa
tornò sui passi avviati.
Fu nel suo ufficio circa
mezz'ora più tardi. Non ebbe il coraggio di passare da lei. I suoi
occhi erano ancora stipati di quelle immagini. Solo uno spasimante ribollente
di passione avrebbe potuto infondere una così pertinace sensualità
al ritratto mentale della donna desiderata. Continuava a ripetersi che si
era trattenuto davanti a Eufemio con animo di sperimentatore, ma sapeva che
non avrebbe riferito di quell'episodio. Certo, non avrebbe sofferto la molestia
che lo rendeva incapace di concentrarsi, se lo spettacolo della sua lussuria
si fosse prodotto in assenza di testimoni. Purtroppo, aveva addirittura un
complice; e gli aveva concesso a mezzadria l'orticello delle curiosità
più intime. Eufemio avrebbe taciuto. Era evidente, tuttavia, che non
si contentava di registrare i fatti e, neppure, di valutarli. Poteva assurgere
al ruolo di malizioso orchestratore di emozioni che gli consentissero d'involgere
in una trama di piccole connivenze, di ricatti sospesi.
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