Non
mancò, nell'avviarsi, di considerare l'ingordigia con cui, da un
po' di tempo, usava dei suoi organi di senso. Chiuse gli occhi. Sapeva
penetrare un'estrema profondità di suono, scovare un fievole scricchio
o sussurro, circoscriverlo nella polifonia folta quanto minima delle cose,
avvertire ogni sotteso palpito di vita. Era un esercizio affaticante.
Si
ritrasse nell'angolo che Nancy aveva definito il "nostro comune pensatoio".
Una panchina e alcune siepi ne facevano un luogo cortese e raccolto. Si
sarebbe smarrito volentieri nella memoria, ma, per quanto suppliziasse
le meningi, non riusciva a ricomporre il tessuto dei ricordi. Lo sapeva
di felpa carezzevole, pregno di fragranze, prodigo di tepori. Un balenante
volgere di visioni non seppe consegnargli una sola immagine.
Faticò
a levarsi in piedi. Si sentiva indolenzito, fino alle radici profonde dell'essere.
La certezza che avrebbe riavuto Nancy, l'indomani, gli suggerì di
coricarsi. Lo trattenne uno sbocciare sparso di luci lungo il viale.
La
ragazza si profilò accanto all'orlo della piscina. Qualche luccicore
sulla pelle e tenui ombre vestivano le membra nude. X ne aveva seguito
l'incedere molle, turgido di pigrizia, l'ondeggiare delle anche.
Si
era messa coccoloni, con le ginocchia a un soffio dall'ammattonato, le
braccia volte al suolo, le dita delle mani a far da puntello. Fu ritta,
per una improvvisa euforia. Tese il collo, sollevò il petto e, levate
le braccia a forca, fletté a sinistra e a destra il busto, più
volte, in rapida successione. Saltellò a piedi uniti, in tondo e
all'indietro e su per i pioli del trampolino. Rapita da una ebbrezza musicale,
sciolse la flessuosità del corpo nell'impeto di una danza volteggiante,
la contenne nella compostezza leggiadra di un "croisé‚ derrière"
e, trovati la misura del passo e l'equilibrio, seppe condurla ai fastigi
della suggestione in un rotolare aereo, spezzato da un protendersi fulmineo,
a pelo dell'acqua.
X
venne avanti, rasente ai tralci, dal fondo della spalliera: i gelsomini
agitarono, come al saluto della brezza, i fiori stellati.
Prossimo
alla vasca, ebbe, dapprima, non più che la percezione di un'ombra
guizzante. Distinse, poi, qualche particolare: il tondo delle spalle, i
fianchi che il premito del ventre e la gonfiezza del torace assottigliavano,
le natiche accresciute dalla positura. L'appagamento estetico gli evocò
alla mente un dorso di delfino, e questa viva immagine del ricordo gli
ricondusse un odore di salmastro, un respiro di onde, rabbuffate da venti
costieri.
Si
domandò con quale diritto frugasse l'intimità che una giovane
donna effondeva per sé, fuori di ogni sospetto. Si sentiva più
incline all'estasi che all'eccitazione, portato a vivere i momenti assoluti
dell'esistere, come se i turbini, le bufere che abitano la nostra suscettività
emotiva, nel suo spirito si fossero acquetati.
La
bizzarra nereide, frattanto, era scomparsa. Riapparve in un vortice di
bolle. Sfrecciava, a capo sommerso, il collo a vomere; rompeva il ritmo
delle braccia, si ravvolgeva a ruota, in un variare continuo dell'ampiezza
e della velocità di quelle capriole. Si affidò, supina, a
un movimento lieve delle dita.
A
un tratto, girò su di sé, intorno all'asse del corpo, i pugni
a pigiare il ventre, e, sopraffatta dalla fatica, allungò le braccia
all'indietro; le sollevava e riabbassava in languida cadenza e, con uguale
torpidità, apriva e richiudeva, a forbice, le gambe. Partiti in
soffici matasse, sciolte sull'acqua, i capelli accentuavano, con quella
apparenza di abbandono, un estro malizioso impresso sulle labbra.
Venne
alla deriva, e risalì d'impeto la scaletta.
X
si era ritratto a tempo: poté, non veduto, rallegrare gli occhi
nella visione, seppur rapida, di un profilo intero di donna, consegnato
all'incantesimo di rispondenze mirabili e di una scioltezza non inibita;
rugiadoso e fulgido, nell'alone di cui la galanteria di un faretto stagno
lo circonfondeva; e, mentre la profondità del patio inghiottiva
il battere dei piedi sul selciato, ebbe ancora il conforto di quella apparizione,
trattenuta sulla retina per un'estasi dei riflessi.
Sbirciò
l'orologio e convenne che la pesantezza delle palpebre era più che
giustificata. Incamminatosi alla villa, svoltò a destra, tra le
rocaille fiorite. Attribuì la stramberia ai mancamenti della coscienza
con i quali il sonno orchestra i suoi preludi.
Distratto
da un riverbero dello stagno, vagò con gli occhi fra le geometrie
logistiche delle ninfee: l'oscurità le assomigliava a minuscole
navi, ciascuna al suo punto di fonda, garantito dal buio e dalla bonaccia;
un ranocchio faceva la scolta, pirata o filibustiere a cui il silenzio
e i fumi del rhum strappavano il gutturale malinconico, l'inizio incerto
di un ritornello disseppellito. Potate a palla, le acacie moltiplicavano
il plenilunio, dietro il pergolato e oltre la siepe di tuia. Gli avvenne
di chiedersi in quale misura Nancy avesse influenzato l'opera del giardiniere.
Era
giunto al chiosco orientale e, d'un balzo, ne salì i gradini.
Lo
sguardo corse alla finestra, distante non più di quattro o cinque
metri dal parapetto e prospiciente un nulla più in basso del luogo
rilevato sul quale riceveva appoggio il padiglione. Udì la doccia
crosciare. Nella camera, immersa nella penombra, le sagome dei mobili mettevano
in scena capricciosi inganni. Un fascio di luce investì la pettiniera,
e il volto della ragazza, come l'avesse generato l'efflusso stregato di
una lusinga interiore che surrogasse le opache seduzioni della realtà
si scapricciò, dentro lo specchio, in qualche sequenza rimirante.
Ritto
dove non sarebbe dovuto essere, godeva l'attesa del guardone schizofrenico,
sciolto da ogni repugnanza per la propria meschinità, gratificato,
al contrario, da un brulicare elettrico di sensazioni. Il genio dello scienziato
interpretò la propria parodia: mimando stigmate del pensiero, le
palpebre scesero a serbare un'immagine, non molto idonea ad essere lievito
di riflessione, e a consentire che il desiderio la delibasse.
La
ragazza aveva messo la camera a buio. Si materializzò di nuovo,
prima che X, timoroso di essere veduto, fosse in procinto di ritirarsi:
inginocchiata sul letto, rigettava all'indietro, scotendola, la testa e
si asciugava i capelli con uno strofinìo pigro dell'asciugamano.
Una luce soffusa - il lume sul comodino - ne ombrava il viso e avvolgeva
il corpo in una diafana trasparenza dei contorni, incurvati ai margini
dei seni con incantevole sobrietà, sinuosi all'ampiezza dei fianchi
e indefinibili nell'arco tra le cosce, dove - spettacolo insieme impudico
e virginale - l'aerea biondezza del pelo si accotonava in un chiarore di
sole nascente.