La tribù dei Visilunghi.
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Prima ipotesi: - Etto è un ritrattista di sicuro mestiere, che ha concentrato l'impegno pittorico nello studio e nella rappresentazione figurativa del carattere e della moralità individuale. Il suo occhio esplora i tratti fisionomici, trafigge l'apparenza, coglie ogni indizio che balugini o lieviti. Il volto, allora, via di accesso privilegiata ai luoghi reconditi della coscienza, ingigantisce sotto una lente implacabile, invade il campo visivo, ambisce a divenire il significante assoluto e si distende sulla tela, a scapito delle altre parti anatomiche o degli indumenti che in pubblico le celano; si allunga per supplire con la sua pregnanza alla verticalità altrimenti sottratta. In tale processo, la faccia che mostriamo ossia la nostra maschera quotidiana si sfilaccia e lacera, apre spiragli sui connotati dell'anima. Il viso rivelatore si accompagna di quando in quando, specie in ritratti meno recenti, al naturale supporto, anch'esso allampanato. Sotto il collo, stelo che regge il fiore, teso oppure flesso quanto è funzionale all'esigenza espressiva, può delinearsi, ora, un accenno di spalle, ora il busto dimezzato, di rado il corpo intero.

Seconda ipotesi: - Il caricaturista (in tali vesti Etto potrebbe aver mosso i passi iniziali nei territori dell'arte) raffigura con l'accentuazione grottesca del segno grafico o compiutamente pittorico le sembianze e i modi d'essere che presentino apprezzabili peculiarità. È lecito immaginare che la pennellata di un caricaturista (il caso potrebbe riguardare lo stesso Etto) si ribelli, un giorno, alla vocazione, per certi versi dissacratoria, che l'aveva ispirata, rifiuti l'intento satirico, la precedente abitudine a sconciare pur di mettere in ridicolo o sotto accusa, e si ostini a mostrarci senza orpelli l'essenza costitutiva di un'indole, di una psiche. Circoscrive l'attenzione al solo viso, per il semplice motivo che proprio in esso affiorano le stimmate dell'interiorità, le tracce più chiare dell'Io. Il linguaggio pittorico si affina e scarnifica, attraverso lo stesso procedimento formale sopra descritto.

È doveroso precisare che la biografia artistica di Etto sconfessa la seconda ipotesi. Se questa rispondesse al vero, non muterebbero, in ogni caso, l'approdo artistico-espressivo del nostro autore, il suo stile consolidato, gotico e moderno insieme, aperto a lievi influenze spirate dal nostro oriente europeo, il linearismo di rado prevaricante, tenuto in sapiente equilibrio con il volume, la sottile ironia che intride i colori e soffonde la forma. Ammireremmo con immutata curiosità le stesse figure argute e pensose, gli sguardi talvolta raddoppiati, le fronti e i nasi sesquipedali; in breve, la folta tribù dei Visilunghi.

Etto, in definitiva, ci offre un ulteriore esempio di come una caricatura sui generis possa elevarsi alla piena dignità dell'espressione artistica.

I soggetti umani che si costituiscono protagonisti, ciascuno d'una singola opera, popolano il vasto orizzonte in cui si mescolano l'incontro ravvicinato, l'osservazione diretta così come la conoscenza virtuale consentita dai mass media, l'attualità vissuta e le emersioni, spesso nostalgiche, della memoria. Si avverte in certe modalità e soluzioni stilistiche il tentativo di agglomerare per caratterizzazioni tipologiche i personaggi ritratti.

Si ribadisce che Etto rifiuta la resa di stampo fotografico. È costretto a riplasmare le sembianze quel tanto che gli impongono lo sviluppo longitudinale e la sua stessa esigenza di spingere l'esplorazione sotto l'esteriorità. Lo scopo umoristico o satirico esula dalla sua intenzione. Il raffronto, tuttavia, fra l'aspetto fisico e l'immagine pittorica che ce lo ripropone alterato, contraffatto, ma pur sempre identificabile, può suscitare il sorriso, il ghigno addirittura: l'accento ironico o mordace non può disgiungersi dall'effige sperticata di certe facce.

Il pennello di Etto pascola altresì per altri lidi della figurazione e sa, ad esempio, riprodurre le forme strutturali, i colori puri, primigeni di un paesaggio alpino. Talvolta, si rincantuccia e cede lo spazio creativo alla sgorbia, allo scalpello. Si materializzano, allora, nelle fibre arrendevoli del legno bassorilievi che celebrano gli affetti familiari o immortalano scene animate della memoria, stupori estetici, nostalgie.

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