La Beffa del Triveneto
Mensile
d'informazione culturale
Un
cabaret pedagogico.
Venerdì
11 agosto 2001, il teatro-tenda di Vallesella di Cadore (BL), del ridente
borgo disposto ad anfiteatro verso le quiete, ma suggestive acque del Lago
che si estende fra Lozzo e Sottocastello sull'alveo allargato della Piave,
ha rapito in estasi i buongustai della battuta sapida e della mimica parca
di gesti e movimenti quanto sapiente nell'esprimere l'inesprimibile.
Il
merito va per intero allo sparuto gruppo della filodrammatica sorta per
iniziativa di un geniale drammaturgo nonché barzellettiere, molto
conosciuta nell'area dolomitica e battezzata da un estimatore goloso, amante
della panna montata e sempre teso alla ricerca di nuovi godimenti per il
palato, con il nome benaugurante de I Cialdoni di Valle e dintorni.
Valle, come sanno i frequentatori di Cortina d'Ampezzo, è per antonomasia
Valle di Cadore. La pronuncia approssimativa di qualcuno potrebbe consegnare
ad orecchie distratte un Cialtroni in luogo di Cialdoni.
Si accolga in ogni caso tale variazione fonica senza cercarvi risvolti
sarcastici. La presenza scenica degli attori, la qualità letteraria
dei testi, la pregnanza filosofica delle battute conclusive d'ogni sketch,
l'humour che, sprizzando da sillabe e accenti, pervade l'atmosfera e palpita
nell'attesa occhiuta degli spettatori non consentono irrisione di sorta.
Gli stessi oggetti che per il solito ci appaiono inanimati acquisiscono
sulla scena beatificata dal talento drammatico del capocomico (spesso designato
con l'appellativo di Paolo al Béon del Boite), dignità
di personaggi e prefigurano i nostri stessi destini, costituiscono, in
breve, una metafora della nostra condizione di uomini e donne, soggetti
alle ingiurie, quanto meno ai capricci, della fatalità. Capita,
allora, che due valigie sottoposte a ogni possibile sevizia, a un ininterrotto
saliscendi da treni in partenza, sloggiate di continuo da traballanti portabagagli
nella spasmodica ricerca, delusa senza remissione, di un qualche convoglio
diretto a Longarone, siano passibili, benché immuni da colpa, di
seguire all'inferno, come annuncia una suora reattiva alla bestemmia, il
loro sgangherato possessore. Capita, altresì, che un water divelto
dalla sede canonica e costretto a vagare per la scena, infilato nel braccio
teso di un ubriaco perennemente smutandato, smanioso di arraffare rotoli
di carta igienica da offrire in sacrificio a bisogne fluenti e ripetute,
rappresenti il nostro insensato arrabattarci per il possesso dei soli beni
destinati alla consunzione. La diffusa incapacità di spingere lo
sguardo lungo il versante dello spirito trova il suo rifinito medaglione
nei lai inconsolabili di una Madonna che, attenta a salvaguardare il seno
da ingorde nonché energiche succhiate con il ricorso a un sovradimensionato
biberon, si dispera per aver ricevuto in sorte un figlio maschio, votato
ad estendere i vincoli di sangue dalla Madre all'umanità, mentre
il cuore materno agognava la venuta consolatrice di una femmina consegnata
a un destino puramente terreno.
L'ultimo,
definitivo atterramento dell'umana spiritualità è bene espresso
dalle performance urinarie dei maschi d'ogni latitudine e dai rituali che
le accompagnano, diversi le une e gli altri a seconda dei climi e delle
tradizioni. Nel basso profondo in cui si disperdono i liquami finisce la
nostra essenza di uomini e donne, insensibili agli aneliti dell'anima,
inclini a nutrire di sudore le zolle caduche del benessere, a confondere
il transeunte con l'eterno.
Lo
spettacolo, degno delle più nobili ribalte italiche, rallegrerà,
nel corso di una fitta tournée, il pubblico di molte cittadine del
Nord-Est.
IODIRA