Echi musicali degli anni ’60.

 

Beatles e Rolling Stones nella “Tribù dei Visilunghi .

 

Chi dovesse pensare che il ritratto, qualunque funzione svolga, tenda a riprodurre le sembianze con fedeltà otterrebbe una categorica smentita dalla storia della ritrattistica. In effetti, l’aspetto dei protagonisti di avvenimenti memorabili non costituisce vincolo per l’artista, pittore o scultore, incaricato di celebrarli. La figura, il profilo, soprattutto nell’antichità, erano riplasmati o addirittura inventati in modo che fossero in un ideale rapporto significativo con l’episodio o il clima storico evocato. La prevalente finalità didattica o simbolica imponeva, infatti, il ricorso al criterio della caratterizzazione, ovvero alla messa in evidenza di determinati valori umani o di una unicità gloriosa, non solo, come deve per necessità accadere nel caso di personaggi mitici, ma, altresì, di trapassati di cui non esisteva una memoria iconica consolidata.

Anche Ernesto Margueret, in arte “Etto”, cerca di caratterizzare i protagonisti delle sue tele, ma, salvo il caso in cui gli stessi valgono a dare immagine ad un semplice tipo sociale, caratteriale, destituito, per la sua funzione esemplificativa, di una identità anagrafica, s’impone di restituire l’aspetto noto, la facies publica di ciascuno, in veste di pittore che interagisce, scruta e dialoga, non di fotografo condizionato dall’obiettivo.

Usa una tecnica nata nel suo laboratorio artistico, dove è giunto alla riprova che l’allungamento dei volti non solo permette di conservare l’impronta fisionomica, ma, addirittura, quando il pennello sia diretto da un’adeguata consapevolezza progettuale, di mettere in luce, attraverso il lieve giuoco della deformazione, qualche tratto significativo della interiorità. In tal modo, il personaggio ritratto acquista, per così dire, un profilo psicofisico. L’ambizione di Etto si spinge oltre. La galleria complessiva che intende proporci, l’ormai popolosa “Tribù dei Visilunghi ”, vuole costituire una sorta di album parlante della storia e del costume non solo contemporanei. I singoli non debbono perciò apparire nel loro semplice essere individuale, ma recare in sé un indizio del tempo che li ha visti agire e del ruolo svolto.

L’abilità del nostro consiste nel saper attivare nel riguardante associazioni mentali che traggono linfa da esperienze comuni e da una cultura basilare. In tal modo si attua l’ambizione, propria di ogni artista: facilitare al massimo una fruizione attiva dell’opera, promuovere, se non rendere inevitabile, l’altrui coinvolgimento emotivo.

Etto, nel corso della sua lunga permanenza parigina, ha frequentato musei e pinacoteche, nonché pittori in attività. L’atteggiamento appetitivo e il costante esercizio lo hanno reso padrone di svariate tecniche pittoriche. Nessuno si azzardi a individuare il suo progenitore artistico nel Modigliani , ad esempio, de “La signora Zborowska ”. Li divide - oltre alle differenze maggiormente palesi a chiunque, tali da rendere cervellotico il confronto, a meno di non guardare alla famosa scultura intitolata “La testa” -, la sommarietà, metodica nell’opera del grande Livornese, resa colma di efficacia espressiva, grazie ad un magico fluire di linee allungate, e, per contro, ravvisabile negli elaborati di Ernesto Margueret, l’esito figurativo di un’indagine intesa a cogliere, come s’è detto, ogni elemento psico-fisionomico, ovvero fisiognomico, capace di rappresentare il personaggio, entro i limiti del ritratto, nella sua interezza umana. Né accomuna i due il senso di malinconia, non di rado estenuata , che, nell’opera del primo, pervade i tratti effigiati. L’affannarsi a trovare parentele (spesso nient’altro che fate morgane dei critici, ovvero improponibili) si riduce ad un esercizio sterile che, dopo tutto, distoglie l’attenzione da un serio giudizio riguardo ai valori intrinseci dell’opera presa in esame, specie se questa si manifesta, già di primo acchito, dotata di un alto tasso di originalità. Etto, pittore, non risulta imparentabile.

La deformazione dei volti, l’allungamento, per l’appunto, costituisce, come s’è visto, una sorta di veicolo espressivo, una tecnica indispensabile alla messa a punto dell’indagine psicologica . Non si ritenga, dunque, per nessuna ragione, Etto, un caricaturista. Questi muove da intendimenti che si collocano, per certi aspetti, sul versante opposto. Per ottenere l’effetto desiderato, si studia, a sua volta, di garantire la riconoscibilità del personaggio di cui si occupa, attraverso un processo in cui un particolare, talvolta più di uno, su cui il suo sguardo satirico o dissacratore si appunta, nel prendere un abnorme quanto eloquente risalto, si accompagna alla sintesi degli altri tratti fisionomici che, pertanto, - ecco la sostanziale diversità - svolgono una funzione appena identificativa.

Nella presente circostanza, Etto ci offre un breve capitolo della storia illustrata attraverso la sua “Tribù dei Visilunghi”. Vuole parlarci degli anni ’60 e, in special modo, dei Beatles, ovvero dei quattro che dominarono la scena della pop music fino al 1970, influenzarono addirittura la moderna pop art ed incisero, in virtù del successo mediatico, sui gusti, la moda e il costume non solo dei giovani. Mette insieme, in un dipinto commemorativo dei loro successi discografici, John Lennon, Paul McCartney , Georges Harrison e Ringo Starr e ce li presenta anche divisi, ciascuno protagonista assoluto, oppure in coppia o, nel caso del primo, in compagnia della moglie Yoko Ono, artefice con lui, dopo lo scioglimento del gruppo, di numerosi album. Non dimentica Adriano Celentano, il nostro rocchettaro , il “molleggiato”, noto, oltretutto, come autore di musica popolare.

Riserva omaggi pittorici ai Rolling Stones (“Pietre Rotolanti”), fioriti, in concorrenza con i Beatles , nel ’62, ritenuti meritevoli della nomea di “brutti, sporchi e cattivi”, a causa del loro rock provocatorio ed aggressivo.

Chi ha amato tutti questi personaggi - se ne reputa conciliabili gli stili musicali, il tenore dei testi, i comportamenti -, li ritrova, infine, uniti in un immaginario concerto, diretto, non con la bacchetta di un direttore d’orchestra, ma col pennello indagatore, non mai irrispettoso, di Ernesto Margueret .

Dionisio Da Pra