Non
lasciamoci ingannare, allorché i suoi dipinti ci ammanniscono, per
compiacere al nostro catastrofismo, radi voli d'uccelli, gracili sopravvivenze
vegetali, spesso la solitaria ostinazione di un albero rinsecchito o di
un fiore che brucia l'ultimo rigoglio. Quell'esiguo catalogo di sopravvissuti
non riveste una funzione documentaria, non prelude all'apocalisse che precipiterà
il nostro globo terracqueo ai primi esiti del fiat biblico. Al contrario,
contraddice il deserto della vita, esorcizza le ecatombi, la nostra morte
collettiva.
Il
risultato è perverso. Ci vengono a mancare l'anticipazione della
fine, l'antipasto all'orrore a cui c'incammina la nostra demenza suicida.
Intendiamoci: anche Ciappei soggiace all'imperativo etico dell'artista.
Tuttavia, in lui l'esteta ha ucciso l'ecologo. Guardate nei suoi paesaggi
inabitati, se i cieli fluorescenti, i fulgidi impasti dei gialli, dei rossi,
dei viola, dell'iride tutta, non assorbono in una atmosfera di estatica
autocontemplazione le poche vestigia della presenza umana, le acque esangui,
le rocce, ora contorte nell'universo spasimo del creato, ora compassate,
ora fiere di mostrare il cesello delle stagioni, i lembi su cui, a volta
a volta, agonizzano, delirano, ostentano una serena apatia reliquie di
una flora sconfitta, ma non umiliata.
Ciappei
spurga il disegno del superfluo, ma lo conduce al limite alto della capacità
evocatrice, lontano da ogni sospetto di rigida stilizzazione; con pari
sapienza, insuperato maestro dell'acrilico, tende a scorporare il colore
dalla base materica, a risolverlo in pura essenza luminosa. Lascia trasparire
di continuo il profondo desiderio di esprimere l'inesprimibile. La pennellata
è lieve, abile, sostenuta, si direbbe, da una consapevolezza semantica;
genera l'immagine per istinto, senza la mediazione di una minima abbozzatura.
Forma e colore sono imparentati da una stessa morfologia. Da questa intuizione,
eretta a fulcro dell'esperienza pittorica, discende l'attrattiva che i
dipinti di Ciappei esercitano all'istante, prima che l'occhio li analizzi
e ne tragga nuovi stupori.
La
resa cromatica, si ripete, non ha nulla di fortuito. I colori esplicano
una funzione catartica e, al tempo stesso, danno sfogo alla plurisensitività
dell'artista, non solo alle sue impressioni visive e alla elaborazione
mentale che da queste procede. Anche l'odorato e l'udito, si ardirebbe
affermare, condizionano la tavolozza del momento. Si percepisce nelle forme
degli oggetti rappresentati, spesso sinuose, elicoidali, coglibili anche
dove il colore si ammatassa per ricreare l'impressione di un cirro, di
un accumulo di vapori, e nel plasma cromatico che tutto imbeve e anima,
insomma, all'interno del costrutto pittorico, un andamento ritmico, musicale.
Ciappei
afferra e seduce. Se vogliamo consolarci, trovare un antidoto alle molte
brutture, tratteniamolo in mezzo a noi. E ricorriamo ai suoi quadri come
ad altrettanti libri de chevet. Oltretutto, ci aiuteranno a sognare.
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