Riccardo Bertozzi.

È balzato in sella al bizzoso cavallo dell'arte e lo tien saldo per le redini, lungo il confine tra pittura e scultura, tra figurativo e informale. Definiamolo artista di frontiera, nel senso - mettiamo coda all'immagine - che alla sua esperienza appartengono tecniche e stili disparati, anche i versanti contrapposti dell'arte, benché nessuno abbia avuto la forza di appagare la sua originalità, di sedurre la sua ispirazione. Per capirlo, occorre mettere da canto i metri di giudizio abituali, far tabula rasa degli schemi in cui la critica e la nostra esperienza hanno fissato la distinzione delle forme artistiche. L'atteggiamento fruitivo si avvantaggerebbe, in breve, se potesse alimentarsi di un'idea non più che aurorale riguardo alle potenzialità evocative del disegno e del colore. Giova all'intendimento estetico immaginare l'artista insofferente di qualsiasi disciplina espressiva non gli venga dettata dal suo stesso istinto. Le sue opere, si potrebbe aggiungere, vanno intese come fogli o, meglio, frammenti di una vasta cartografia della psiche. Il motivo ispiratore in esse rintracciabile è la sensazione, più che l'idea: una sensazione non epidermica, ma profonda e necessitante, al punto di nascere come rovente impasto di pensiero e immagine. Si capisce che la causa motrice dell'operare artistico è, nel caso specifico, da riconoscere nello stato d'animo, nella condizione fisica, nell'emozione, in una totalità esistenziale che ha urgenza di esprimersi nel rapido consumo del gesto automatico. Il progetto di grande respiro si allarga oltre le coordinate mentali di Bertozzi e risulta, pertanto, costantemente in fieri: se in qualche momento si definisce, è preso in appalto dal subconscio e si rivela alla coscienza dopo l'essiccazione dell'ultima goccia di colore. Il fortuito calca la scena con pretese da prim'attore e recita nelle vesti dei piccoli oggetti che, esaurito il loro compito, estenuata la propria "dignità" funzionale nelle asprezze dell'uso quotidiano, hanno la ventura di cadere sotto l'occhio dell'artista e di essere restituiti a dignità, promossi, anzi, alla ben più alta dignità di elementi costitutivi dell'opera d'arte. La pregnanza materica impone una immediata impressione di vigore, di estremo dinamismo e accentua l'apparenza magmatica del colore, lo dispone in linee che hanno disegno di isobara, di cratere vulcanico. Questa cifra ricorrente è, in parte, suggerita dall'utilizzo di tubi di plastica, avviato, forse, in modo occasionale, ma divenuto costante, in seguito a una verificata congenialità con le intenzioni espressive di Bertozzi. Essi, idealmente, continuano ad arginare dentro la cilindrica cavità l'energia liquida che li percorreva, ma ancora se ne pervadono e partecipano alla corsa inarrestabile, diretta allo sbocco prestabilito. Il tubo è barriera, dunque, e, insieme, linea di forza, e, in virtù del suo inserimento nello spazio compositivo, suscita, per attrazione simpatetica o per semplice coerenza formale, raggrinzimenti della superficie cromatica, un variegato fluire di materia plastica, disposta in lunghi cordoni, a raggiera o in parallelo, che sembrano scaturiti dalla siringa di un pasticciere assalito da frenesia "celibataria", mentre decora la torta nuziale. La sostanza fremente che unifica in sé colore e materia accetta con insofferenza di lasciarsi mettere a disciplina da quelle linee di forza e, dove esse si distraggono dal far barriera, si effonde in smerlature, protuberanze, accenna moti alluvionali, si propaga in colate laviche, sino all'esaurimento di ogni energia. Anche questa estenuazione, a scorno dell'apparente casualità, si modella secondo gli schemi di un linguaggio estetico e configura, per così dire, un'intenzione dell'artista: gli straripamenti fiaccati, i rivoli esangui, le frangiature risecche esauriscono la plastica espressività della materia impiegata e, al tempo stesso, si asserviscono all'idea progettuale o a quel tratto cosciente del suo divenire. Il mestiere domina il telaio e intreccia all'ordito, con abilità, ogni filo che si aggiunga.

Dionisio Da Pra (Agosto 1989)

 
 
 
 
 
 

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