Uno sperimentatore inesausto, abituato a passare dalla pittura alla plastica
Le visioni simultanee
di
Attilio Lauricella
[Articolo di Dionisio
Da Pra pubblicato sul n° 48 di "Contemporart"]
Ipotizziamo l’esistenza di un
fotografo munito di stupefacenti aggeggi elettronici approntati per tradurre in
immagine ogni possibile fenomeno e modalità
dell’esistente. Egli comincia, pare ovvio, con il
ritrarre qualche aspetto della realtà effettuale, senz’altra preoccupazione che
di fissarne una testimonianza. Diventa difficile escludere che si lasci guidare
dalla personale sensibilità estetica e dall’intenzione di offrire un documento efficace,
nello scegliere l’angolazione e l’inquadratura. Non
può, tuttavia, sorretto dal prodigioso armamentario tecnico, rinunciare a
rendere manifesti i suoi processi mentali e la sua partecipazione emotiva,
oltre la misura in cui, di norma, l’opera fotografica prodotta con macchine
tradizionali li rivela all’occhio dell’intenditore. Grazie al cielo, le sofisticate apparecchiature riescono a captare i pensieri,
le emozioni e a tradurli in forme visibili. Potrebbe il nostro fotografo sciorinare,
a questo punto, una sequenza di immagini che, fissata l’iniziale
oggettività colta dall’obiettivo, rappresenti i processi d’interiorizzazione
della realtà, i modi in cui la ridisegnano gli stati emotivi e lo sguardo
perscrutante dell’artista. Lo spirito creativo si ribella, infatti, alle costrizioni
mentali che l’apparenza, la scorza delle cose, tende ad imporre. È portato ad
astrarre dagli aspetti contingenti, a compiere una sorta di radiografia del
reale, volta alla ricerca di un ordine costitutivo, di schemi e strutture essenziali
rintracciabili in svariati contesti, se non proprio, e
in tal caso la scoperta introdurrebbe alla vera conoscenza, di una sostanza primigenia,
da cui tutto possa germinare e a cui tutto sia riconducibile. Nulla impedirebbe
al nostro fotografo di sovrapporre, anziché allinearli, gli esiti dei singoli
scatti fotografici, rispettandone la successione esecutiva. Scoprirebbe che la
forma visibile, se una forma continuasse nonostante tutto a persistere, lungi dal
riprodurre le caratteristiche fisiche del soggetto fotografico iniziale,
rappresenterebbe il distillato ultimo di una specifica esperienza emotiva e
cognitiva. Avrebbe sotto gli occhi l’interpretazione sua
propria, di una realtà particolare. Perché, allora, se l’occorrenza
espressiva si corona nella proiezione di un evento che attiene alla interiorità, non limitarsi a raffigurare questo approdo
ultimo, invece di sviare l’attenzione altrui con una serie d’immagini provvisorie,
interlocutorie, in pratica forvianti? Il vero artista cede al bisogno di mostrare
la sua visione, la sua consapevolezza.
Attilio Lauricella (nato a
Raddusa, CT, nell’agosto 1953; residente a Torino dal 1959) conosce l’àpeiron, il
principio da cui tutto si origina. Lo ha individuato, come, del resto, i suoi
fratelli in arte, nella luce che vivifica i pigmenti della tavolozza e, benché
informe, li rende capaci di creare l’illusione d’ogni forma possibile. Invero, filosofo e poeta, assimilabile nello spirito
all’immaginario fotografo sopra descritto, rifiuta di scimmiottare nell’opera
pittorica le apparenze della realtà e si sforza - seppure in un recente passato
accettasse che le stesse s’intravedessero o addirittura si accampassero, sotto
la pressione di una sua ricorrente vena narrativa (anche i pensatori
abbandonano il sopramondo delle idee pure, delle sublimi astrazioni per
raccontarci le fisiche, concrete meraviglie) - di liberare dalla prigione della
materia l’essenza delle cose, in modo che, restituita al grembo primordiale della
luce, possa a chiunque rivelarsi, per virtù demiurgica e maieutica dell’arte. La
sua macchina fotografica risiede, dunque, nella sua stessa mente dove le
immagini assorbite da un occhio avido di conoscenza si compongono e raccolgono
per essere sottoposte ad un attento studio, spogliate d’ogni sovrappiù,
scarnificate, frugate nell’intimo, ridotte in
definitiva ad una orditura di fibre policrome, sulle quali chi sa guardare può
tessere un proprio intreccio di pensieri, di memorie, di emozioni. Dopo anni di esperienza - precisiamo -, l’artista Lauricella non ha bisogno
di girare il mondo, ha l’universo dentro di sé, attinge ad una sapienza
consolidata o si affida ad una intuizione che bene conosce le scorciatoie del
sapere. Nel suo bagaglio culturale (arricchito di
continuo, avanti e dopo gli studi compiuti al Liceo Artistico dell’Accademia
Albertina) sono presenti i linguaggi pittorici che hanno illustrato la storia
dell’arte, specie gli stilemi e le poetiche degli ultimi decenni. Egli rimane,
tuttavia, refrattario all’imitazione e si comporta alla stregua di un cuoco
molto abile nell’allestire menu di alta gastronomia e
di assoluta originalità, apprese le tecniche di cottura e conosciuti, per
disporre di adeguati paragoni, i sapori di raffinate cucine; o, meglio ancora,
come uno chef impegnato nella impossibile impresa di sedurre le papille
gustative con vivande prive di consistenza materiale. Ecco, allora, che le sue frequenti
illuminazioni si proiettano all’esterno in flussi versicolori e, mediate
dall’olio o dall’acrilico, si distendono in gioiose campiture, lasciano tracce curvilinee,
poligonali (triangoli, losanghe ed altre figure, spesso appaiono
congiunte in estrosi incastri), paraboliche, spiraliformi, dando vita a composizioni
pittoriche il cui significato diventa irrilevante e il cui titolo, inteso a designare
l’intenzione espressiva e il progetto concluso, risulta un qualcosa di
estraneo, di giustapposto, diventa motivo di possibile disturbo al sereno
godimento di chi nel ritmico e musicale assetto dell’opera immerge lo sguardo e
nulla chiede in aggiunta al puro manifestarsi della bellezza. L’esercizio pluridecennale
ha, inoltre, attrezzato l’artista di automatismi tanto
sapienti da rendere superflua, in molti casi, la fase dell’ideazione, capaci, a
dir poco, di supplire con efficacia, sotto specie di pura gestualità, all’indefinitezza
del progetto.
Insensibile al canto delle sirene
modaiole, Lauricella procede lungo le rotte che gli indica
la sua bussola personale, tarata su un polo magnetico reso alquanto instabile
da una anticipatrice sensibilità per i mutamenti del gusto e per le rinnovate
ragioni del fare arte, ma più ancora dalla sua creatività indomabile,
irrequieta, che, negli ultimi anni, si manifesta in territori distanti e al
tempo stesso contigui rispetto a quello che lo vide, in età ancora giovanile,
fresco esule dal figurativo puro, rivelarsi un eccellente pittore “concettuale”.
Lontani da illuminazioni episodiche, i suoi lavori risultavano
ispirati da una discorsiva consequenzialità, da un rigore logico e razionale protratto,
riscontrabile nella pertinace escavazione del filosofo che si proponga, se non
di elaborare un sistema, d’indicarci qualche rotta speculativa. Memorabile la
serie dei grandi dipinti concepiti per tradurre l’intima struttura dei computer
in un accordato insieme di elementi figurativi. Nacquero
opere di sorprendente armonia e di tale icasticità da indurre l’illusione che i
dati, ovviamente invisibili, ma in qualche modo avvertiti, corressero
verso la febbrile quanto infallibile officina della logica algoritmica.
Lauricella, dunque, veniva allora da pensare, a riprova di quanto più sopra
dicevamo, non si estrania dalla realtà fenomenica, ma la esplora nel profondo e
la sublima, assertore della assoluta necessità che
poesia ed estetica dialoghino con l’utile e il funzionale.
Diventa difficile, s’è capito,
offrire di questo sperimentatore inesausto, abituato, oltretutto, a mescolare i
generi e a passare dalla pittura alla plastica, una documentazione iconografica
che in qualche modo serva a rapportarlo per
assimilazione agli artisti più celebrati dalla critica o, se preferiamo, ad
etichettarne la produzione. Limitiamoci a riconoscere in lui un maestro che
s’inoltra per vie spesso solitarie, ma necessarie per arricchire la mappa che tracciano gli storici dell’arte.
Di una regione beneficata da molteplici
aspetti fisici, non si mostrano soltanto le spiagge rinomate, trascurandone i
colli, i monti, le pianure che ne costituiscono un ulteriore
incanto e una non trascurabile ricchezza. Allo stesso modo, non ci si dovrebbe
restringere a mettere a fuoco di una personalità complessa soltanto qualcuno dei
suoi cento volti. Qui si commettono peccati di omissione.
Lauricella è un concentrato di energia che deve
liberarsi a grandi dosi giornaliere. Per questa ragione, può succederci di
conoscerlo in veste di lirico, ad esempio, o trovarlo indaffarato ad
organizzare mostre collettive in cui si ritaglia un angolino
da comprimario (numerose e spesso prestigiose sale di esposizione, in palazzi,
castelli, pinacoteche, rinomate gallerie, lo accolgono come unico protagonista,
per iniziativa altrui; sue opere di ragguardevoli dimensioni, acquisite in via
definitiva, si esibiscono sulle pareti di banche, alberghi, sedi di varie
istituzioni), a fondare circoli artistici, a rivestire i ruoli, assegnatigli in
omaggio alla sua competenza, di consigliere e collaboratore (“Piemonte
Artistico Culturale”, “Associazione Arte Città Amica” ecc.), a riunire un
esercito di creativi per una conferenza, seguita da un convito fra uguali e da
salutari libagioni in onore delle muse. Si dovrebbe accennare ai premi che ha
collezionato e ai giudizi di valore dal tono entusiastico ottenuti da
giornalisti, scrittori e critici militanti.
Lauricella, come molti sanno, ha ricevuto l’incarico da una emittente televisiva di Mediaset di raccontare con i suoi disegni i momenti più significativi del processo che vede Anna Maria Franzoni imputata per la morte del figlioletto Samuele. I giudici, infatti, hanno deciso di bandire, all’interno dell’aula, l’uso di qualsiasi mezzo di assunzione ottica artificiale. Roberto Cotroneo - a cui va riconosciuto il merito di averci offerto una convincente analisi di un degrado dello spettacolo processuale, scaduto dal rango di evento dialettico, reso appassionante dall’abilità oratoria dei principi del Foro, ad una sorta di reality show, di messinscena consona alle abitudini di un pubblico affetto da “voyeurismo catodico” -, si meraviglia alquanto nell’apprendere che una tale incombenza sia stata affidata a “ un disegnatore che riflette sulle misteriose curve intensive” e si definisce “astrattista geometrico”. I titoli che Lauricella assegna a molte delle sue opere sembrerebbero, infatti, designarle come il derivato pittorico di una fredda razionalità, assistita dalla conoscenza di un ampio orizzonte spazio-temporale delle arti figurative, ma sottratta alle interferenze dell’emotività. Sappiamo, ormai, quanto basta per non lasciarci depistare. Aggiungiamo che Lauricella vanta un lungo tirocinio di ritrattista, attento a cogliere ed evidenziare il profilo interiore di uomini e donne e, con esperta malizia, quando ci si appella alla sua vena caricaturale, a coinvolgere i minimi segni rivelatori della psiche nel giuoco della deformazione fisionomica. I protagonisti dell’interminabile vicenda non riusciranno a impedirgli di leggere nel loro animo.