La mostra organizzata dalla Regione Valle d’Aosta nella sede espositiva
del Centro Saint-Bénin, per il periodo
26 novembre 2005 – 23 aprile 2006, offre all’attenzione del visitatore
quaranta sculture ed altrettanti pastelli di Wolfgang
Alexander Kossuth
.
L’artista, nato nel
Va detto subito che W. A.
Kossuth esprime la propria originalità con esultante
scioltezza nei territori fecondi della tradizione classicistica.
Per questa ragione, la sua scultura non desta perplessità, non spiazza
il riguardante, ma lo rinfranca e, al tempo stesso, lo sorprende nel sottoporlo,
rispetto all’attesa, ad un sovrappiù di
emozioni estetiche. Nella sua opera sono rintracciabili, infatti,
elementi formali che non connotano una sola epoca, non qualificano un gusto,
una concezione del bello, imbalsamati in un tempo storico definito, ma, al
contrario, sopravvivono in un continuum artistico, refrattario all’imperversare
dei nuovi orientamenti, resistente «alla brutalità del non senso»,
come afferma l’autore stesso; riproposti
, dicevamo, senza interruzione, seppure messi in ombra dalle mode, dai
canoni, dalle poetiche prevalenti. Essi, ispirandosi ad un principio
di ordine e armonia, appartengono alla cultura estetica della civiltà
occidentale.
Kossuth alle sue figure
di uomini e donne - non importa se scolpite
in atteggiamento statico o dinamico - aggiunge la grazia. Sulle nudità,
esibite in un olimpico rigore delle proporzioni, la morbida levigatezza
delle superfici produce effetti luministici ed effonde, si
direbbe, un’aura di virginale pudore. Sembra di trovarsi di
fronte ad una umanità idealizzata e,
al tempo stesso, non lontana da una esperienza visiva possibile. Di fatto,
la rappresentazione realistica della figura trascende, nell’opera
di Kossuth , i limiti del semplice “ricalco”
anatomico e fisionomico per rappresentare, insieme con le posture, con l’atteggiarsi
degli arti, dei muscoli, il disegno mentale che li preordina, lo stato d’animo
e la consapevolezza che li accompagna, ovvero l’insieme dei moti interiori.
In tal modo, dal modellato traspare l’essenza umana del personaggio,
emerge l’identità custodita nel profondo. Non a caso, le ballerine
autentiche o immaginarie, tersicori flessuose
sino alla massima estenuazione della muscolatura, sospese, talvolta, nei
più arditi ed aerei dei balzi acrobatici, libere per virtù
d’arte dalle leggi della gravità, hanno ciascuna un nome che
non intende associarle ad una figura di danza specifica, esemplificativa,
la più idonea ad esaltarne l’eleganza, la tesa armonia del profilo,
né servire all’anagrafe delle forme corporee o porre distinzione
tra gli stili, le tecniche individuali, le scuole di provenienza, ma si propone
di trarre in superficie il quid impalpabile che promana dall’interno
e impronta l’espressione mimica, la particolare compostezza e plasticità
delle membra.
Anche i ritratti scultorei, figure intere (i
due metri e venti di Roberto Bolle colpiscono all’istante) o semplici
teste a tutto tondo (si ammirino Alessandra Ferri o Giorgio
Strehler), curati sino alla minuzia del segno, oltre a restituirci
le sembianze di noti o addirittura immortali protagonisti della letteratura,
della musica (Mozart, Paganini
, Leonard Bernstein
), dell’arte considerata nelle molteplici espressioni o mostrarci
l’aspetto di giovani uomini e donne cari all’autore, ci introducono
nell’animo, ci dischiudono pensieri, rivelano tratti interiori. Così
vediamo, ad esempio, la mesta pensosità di Soldati, la vezzosità
di Simona, l’ansia della perfezione e la consapevolezza di avere condotto
ad una piena disciplina ogni energia fisica e mentale, proprie del ballerino
che disegna il lieve passo del minuetto.
Oltre allo sguardo clinico, Kossuth esercita
l’immaginazione, la facoltà associativa del pensiero e si rivela,
pertanto, abile creatore di metafore, di sensi altri, alla cui esemplificazione
scultorea piega la duttile maestria tecnica.
Ottiene risultati di ardito virtuosismo, come,
ad esempio, in “Tentazione” che ci mostra la donna Eva, intenta,
quasi volesse metamorfosarsi in serpente, ad avvinghiare Adamo, a compenetrarlo,
ostinata, mentre affonda tra le spalle di lui il capo - unica traccia ancora
visibile il profilo sinistro e la chioma -, nel tendere con la mano destra,
ormai alla cieca, verso la bocca riottosa dell’uomo il pomo emblematico;
o in “Concezione”, raffigurata da una mano fecondatrice nel cui
palmo siede una giovane compresa dell’evento, ben puntellata, con
le braccia tese all’indietro, su due delle enormi dita offertele a
libero sostegno.
Il voler descrivere ciascuna delle opere esposte ed accorparle per analogia
tematica porterebbe ad infoltire i singoli capitoli
e ad estendere l’elenco categorico di cui s’è fatto cenno.
Anche la mitologia (Mercurio, Dafne, Adone, “Il
fauno”) rivive in opere di forte suggestione, contrassegnate dall’originale
cifra stilistica. È doveroso, per concludere
senza infamia, segnalare almeno “Forze in equilibrio” (h.
cm 280), “Massimo Murru – il salto”,
“Il contorsionista”, “La ginnasta” “Serena”,
“La lettrice” (in orizzontale equilibrio nient’altro che
sul piede sinistro, flessa la gamba in modo che il tallone prema contro le
natiche e le dita servano d’appoggio).
Non solo quelle menzionate, ma ogni singola
scultura meriterebbe una propria scheda. Si è taciuto, purtroppo,
dei pastelli, la cui qualità li eleva a perfetto corollario dell’attività
artistica principale di Kossuth e basterebbe
da sola a rendere l’autore degno di considerazione.