Di là dagli spazi siderali e ritorno

 

L’iperuranio, l’universo e l’Uomo nell’opera di Emil Ciocoiu

 

Dionisio Da Pra

 

Pochi hanno beneficiato di una misteriosa esperienza riservata ai mistici e ai pertinaci investigatori della verità, chiamati a protendere lo sguardo verso il lume divino. Il volto del Creatore sprigiona, invero, una luce soverchiante rispetto alla facoltà concessa alla mente umana di sopportarla in stato di veglia. La memoria, di conseguenza, si rivela incapace di contenere il chiaro ricordo dello straordinario accadimento, ossia di evocare il fulminante splendore della divinità; conserva al massimo un barlume della beatitudine generata dalla visione, quando non le accada di annaspare nell’oblio, quasi cercasse la traccia di un sogno cancellato dal risveglio.

Sembra che anche Ciocoiu possa dire, come l’autore de La Divina Commedia : «…ché la mia vista, venendo sincera,/ e più e più intrava per lo raggio/ de l’alta luce che da sé è vera.» Paradiso, XXXIII, 52-54. Dante ha ricevuto la speciale grazia, ma pure lui, l’artefice di registri linguistici inarrivabili, si dichiara inadeguato ad esprimere ciò che, del resto, per sua natura, travalica i limiti delle nostre attività sensorie e della nostra stessa vista spirituale. Ciocoiu, non sappiamo con quale consapevolezza, ha raccolto la sfida nella pacifica tenzone che vede impegnati quanti tentano di esprimere l’indicibile. Nel confronto, usa le armi che sa maneggiare con grande perizia. Non sguaina la parola, ma il linguaggio icastico e immediato del colore.

Premettiamo che non intende offrirci una prova ontologica dell’esistenza di Dio. Fa suo un interrogativo che interminabili generazioni di uomini si sono tramandato ed intere moltitudini hanno convertito in una fiduciosa certezza. Non si può altrimenti spiegare la sua pittura, la sua ostinazione nel volerci rendere partecipi di un viaggio interiore che rifiuta di arrestarsi alla soglia dell’inconoscibile.

Del resto, per rendere afferrabile un concetto, spesso lo traduciamo in immagini. L’immagine, inutile dire, non è il concetto, ma una sua proiezione, un suo ricalco sensibile. Per molti può costituire una tappa significativa o addirittura indispensabile nel percorso che introduce all’eccitante esercizio del pensiero astratto. Deve perdere, tuttavia, i contorni troppo rigidi, rappresentare quanto meno possibile la cosa concreta e alludere all’idea, all’impalpabile che alimenta la speculazione filosofica.

Ciocoiu, dunque, accantona le forme usuali, le esangui geometrie della quotidianità e si spinge a ritroso nel tempo, dentro gli interminabili spazi delle galassie sino agli ardenti vortici della materia nascente, i primi bagliori siderali, determinato a forzare la barriera che ostacola l’incontro con l’assoluto da cui trae origine tutto. Non esiste macchina del tempo che possa competere con il cervello di uno spirito creativo. Il viaggio virtuale del nostro procede fuori da rigidi tracciati, per balzi imprevedibili che, tuttavia, ogni volta, portano al Big Bang, a un passo dal fiat biblico e affacciano su visioni di straordinaria suggestione pittorica. I titoli di molte opere non lasciano dubbi riguardo alle intenzioni espressive di Ciocoiu e alla meta che egli si prefigge: rendono evidente come l’autore nel corso della sua missione di astronauta metafisico non ricerchi nuovi mondi, altre galassie, ma qualcosa di grandioso che ammaestri la coscienza. Ecco, allora, spiegata la messa in cantiere di una pittura che si propone di spalancare orizzonti pervasi di spiritualità, sebbene godibili sul piano del risultato estetico, anche da parte di quanti addestrano lo sguardo a cogliere la sola bellezza materiale.

Ha trovato, Ciocoiu, il raggio che cercava? A giudicare da alcune opere, quali, ad esempio, Anfiteatro della speranza, Comprensione , Anfiteatro della pace, ed ancor più dal ciclo dedicato a l’ Uomo e le Religioni, sembrerebbe di sì. Egli fa consistere la manifestazione pittorica del lume divino, generatore di pace e di armonia, in una luce diffusa, uniforme, pallida per non voler essere accecante, che avvolge con il suo pressoché impalpabile velo protettivo il mondo e l’umanità.

Sa bene e da parecchio, non lasciamoci ingannare, che il varco fra materia e spirito non si trova nei remoti confini dell’universo, ma è qui, su questa nostra terra, in mezzo a noi, anzi dentro a ciascuno di noi.

Ora, Ciocoiu non esercita la professione di teologo, ma di pittore dominato dalla necessità di portare sulla scena le sue avvampanti fantasie, di ripercorrere, a nostro beneficio, le immaginarie rotte celesti. Le sue escursioni pittoriche tra le meraviglie pirotecniche del creato lo appassionano quanto le pacate riflessioni sulla civiltà degli uomini che abbracciano con animo puro una fede e ne ricevono una stessa luce unificatrice, ne traggono una comune linfa spirituale, nonostante la diversità fra i credi e i simboli celebrati.

Le prime, tuttavia, molto più che le seconde, gli consentono di mettere in evidenza una rara abilità nel trasmettere emozioni e creare sulla tela l’illusione del movimento continuo. Questo virtuosismo mirato si esprime con il ricorso ad una tavolozza magmatica che effonde, su velature giustapposte, stille, schizzi, rivi, solari flussi e concertate macchie di colore o riversa nei tratti di focale intensità “drammatica” la pienezza del vigore cromatico.

Avviene con grande frequenza che ai progetti interiori non corrispondano gli esiti. Risparmiato da tale malasorte, Ciocoiu rappresenta un caso paradigmatico. Egli appartiene alla esigua categoria di artisti che optano per un impegno arduo e solitario, ma riescono ad offrirci attraverso l’opera un rispecchiamento adeguato, delle loro idealità.